domenica, agosto 05, 2007

Why, again

Nel corso del nostro racconto cercheremo di fornire ragioni e argomenti che possano in qualche modo aiutarci a rispondere alla domanda fatidica relativa alle ragioni per le quali persone come noi, con i difetti, le delusioni, la confusione, la voglia di vivere, le aspettative di futuro che le contraddistinguono, dovrebbero sentire il dovere di pensare ed agire da cittadini, trovare ragioni e motivazioni per partecipare alla costruzione del discorso pubblico. Di spiegare in che senso e perché è auspicabile che si faccia almeno un passo avanti nella “transizione dal diritto internazionale classico, tuttora ancorato al modello ottocentesco dello Stato – Nazione, ad un nuovo ordine cosmopolitico, di cui dovrebbero diventare attori politici le istituzioni internazionali e le alleanze continentali” (6). E in che modo tutto questo potrebbe dare un contributo importante alla costruzione di un mondo senza superstati e senza nazionalismi esasperati.
Cercheremo di chiarire perché, come suggerisce Pedrag Matvejevic, l'idea di un Europa meno eurocentrica ed egoista, "più consapevole di sé stessa e meno soggetta all'americanizzazione, più cosmopolita, più comprensiva, meno orgogliosa" (6), è una buona idea. E di portare argomenti a sostegno della necessità di mettere in campo azioni positive in grado di fornire ragioni e motivazioni all’impegno e alla partecipazione dei cittadini alla costruzione del discorso pubblico.
Nel corso del nostro cammino incroceremo naturalmente domande più e meno usuali, più e meno complicate: in che senso il concetto di nazione ha perso buona parte del suo significato economico; perché è in campo una questione sociale strettamente connessa ai processi economici che siamo soliti definire globali; perché è importante lasciare tracce; in che senso se non abbiamo futuro diminuiscono le possibilità di connessione con gli altri e siamo più soli; perché rivendicare un mondo nel quale ci siano prima di tutto diritti per tutti non è soltanto una speranza o, peggio ancora, uno slogan.
Ci guiderà nel tentativo mai finito di rintracciare risposte possibili l’idea, sulla quale siamo ritornati più volte nel corso degli anni, che nella fase attuale di sviluppo della democrazia nei paesi economicamente sviluppati proprio la partecipazione dei cittadini alla costruzione del discorso pubblico assuma una rilevanza per molte ragioni decisiva. E la consapevolezza che una società possa essere definita più giusta o, meglio, meno ingiusta, se è in grado di favorire processi e progetti di inclusione, tanto dal versante culturale, quanto da quello politico, sociale, economico.
Il nostro punto di vista sarà quello di chi ritiene che esista una connessione forte tra la scarsità di luoghi, strutture, spazi pubblici a disposizione dei cittadini e lo stato di salute delle nostre declinanti democrazie, e da ciò fa discendere la necessità di creare occasioni e di individuare luoghi nei quali le persone si sentano responsabilmente coinvolte, non usate, nei quali sia possibile conoscere, proporre, operare, condividere, verificare opinioni, opzioni, scelte. E’ il punto di vista di chi è convinto che, nelle piccole cose di ogni giorno come nelle occasioni importanti della vita, il rispetto delle regole sia alla lunga la vera scelta razionale, non ideologica, conveniente. In questo meraviglioso e contraddittorio mondo, nel quale se scopri la penicillina nessuno ti conosce e se partecipi ad un reality show rischi di diventare una star, abbiamo ancora tanta strada da fare prima di poter comprendere davvero in che senso e perché “contribuire ad aumentare il capitale sociale vuol dire essere più intelligenti, più sani, più sicuri, più capaci di governare una democrazia giusta e stabile”. (7)
Cercheremo in ogni caso di individuare percorsi che in vario modo possano contribuire a determinare, e rendere credibile, una inversione di tendenza, e di evidenziare alcune esperienze, a nostro avviso molto significative, di istituzioni, movimenti, persone che anche in questi anni difficili non hanno rinunciato a stare in campo. Con il coraggio delle proprie idee e delle proprie scelte. Con la propria testa, il proprio carattere, le proprie mani.
L’auspicio è quello di contribuire anche per questa via all’affermazione, alla valorizzazione e, soprattutto, alla diffusione, di quelle buone pratiche di partecipazione, di cittadinanza e di governo che più hanno prodotto risultati positivi. E di concorrere a delineare i tratti di una società possibile, meno imperfetta, con un più basso indice di sofferenza sociale, nella quale ci si possa ritrovare a vivere, con altri, vite almeno un poco più felici, più serene, meno insoddisfatte.
Per tutte le ragioni fin qui accennate e molte altre ancora, ci accompagnerà nel nostro viaggio la non banale consapevolezza che in politica, così come del resto in tutte le cose della vita, qualunque punto di vista, per quanto autorevole, convincente, condivisibile possa essere, rimane, per l’appunto, soltanto uno dei punti di vista possibili. Che esistono sempre più soluzioni allo stesso problema e tale pluralità di risposte possibili mira, nel migliore dei casi, a ridurre l’ingiustizia e la sofferenza socialmente evitabile e non certo a massimizzare il bene. Che sulle strade della politica non esistono pozzi senza fondo e dunque per fare bisogna scegliere, il che vuol dire sostanzialmente definire ordini di priorità e stabilire criteri di urgenza il più possibile rispondenti o, più realisticamente, il meno possibile divergenti, dai valori, dagli interessi, talvolta dai ceti sociali che si ritiene utile o giusto privilegiare. E che naturalmente non sfugge alla regola la lettura dello stato di salute delle nostre democrazie proposta in queste pagine.
Ancora due messaggi prima di procedere oltre, con l’auspicio che possano fare da segnaposto, da promemoria da conservare da qualche parte, ai quali dedicare ogni tanto uno sguardo o una riflessione.
Il primo ci ricorda che l’idea di continuare a pensarsi più intelligenti della generazione precedente e più saggi di quella successiva non è in fondo una grande idea. Che è meglio piuttosto immaginare società nelle quali siano i figli che insegnano ai padri, i bambini agli adulti, gli alunni agli insegnanti. Società che sappiano valorizzare la genialità dei più piccoli, la loro capacità di avere una visione globale delle cose.
Il secondo è di Barry Lopez, che ha scritto che “le storie che raccontiamo alla fine si prendono cura di noi. Se ti arrivano delle storie, abbine cura. E impara a regalarle dove ce n’è bisogno. A volte una persona per sopravvivere ha bisogno di una storia più ancora che di cibo. Ecco perché inseriamo queste storie nella memoria gli uni degli altri. E’ il nostro modo di prenderci cura di noi stessi” (8).
Buona lettura.

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