domenica, agosto 05, 2007

Crisi della politica 1

Le differenze aiutano la partecipazione. Eppure quello che abbiamo definito il potere omologante della globalizzazione sembra inarrestabile cosicché, nelle società moderne, la discussione democratica appare come rinsecchita, impoverita, ripiegata su sé stessa. Coloro che ritengono di avere, nelle condizioni date, ragioni e motivazioni per stare in campo con un ruolo attivo nell’ambito dello spazio pubblico diminuiscono sempre di più. E tra questi, ad essere maggiormente esposti alle temperie del “non so, non capisco, non mi interesso, non posso farci nulla” sono proprio i più giovani, quelli che con il loro ardore dovrebbero rappresentare “la maggiore forza, l’apice, la perfezione, l’akun della natura umana” (6), e che dunque nessuna società, nei confini della politica prima ancora che in altri, dovrebbe permettersi il lusso di trascurare.

La politica in crisi diventa in buona sostanza sempre più povera di idee, di differenze, di contenuti. Si omogeneizza. Al punto che agli occhi dell’uomo della strada, del cittadino comune, nella realtà insicuro, sfiduciato, con seri problemi di identità, incapace di influire sulle scelte pubbliche, orientato a fuggire da ogni responsabilità (4), le differenze appaiono sempre meno percettibili: tutti uguali, tutti assai poco credibili, tutti poco interessati a dare risposta ai problemi reali dei cittadini. Nonostante l’assunzione di scelte coraggiose e il confronto tra strategie diverse abbia, tra gli altri, il meriti di determinare esiti diversi da quelli ipotizzati in origine, anche nei casi più difficili e controversi, quello in atto è un lento ma inesorabile processo di neutralizzazione delle differenze che accomuna tutti i paesi maggiormente industrializzati e si interseca in diversi modi con una supposta oggettiva omogeneità delle scelte di governo che è possibile operare in ambito nazionale a causa dei sempre maggiori vincoli esistenti a livello internazionale. Prospettare visioni delle cose e soluzioni dei problemi alternative viene visto come un esercizio anacronistico, residuale, antistorico, inutile, a fronte di scelte che con troppa enfasi vengono considerate inevitabili, neutrali. Non a caso, uno dei caratteri più forti dei processi di globalizzazione così come siamo soliti intenderli in questa fase (5), sta proprio nel suo potere omologante, nella sua capacità di rendere irrilevanti le differenze, di farle apparire per un verso come puro folklore e per un altro, peggio ancora, come scorie dalle quali liberarsi.
Con il risultato che nelle nostre società stressate e sotto assedio partecipare diventa sempre più “out”. Delegare, un modo elegante per abbandonare la partita. Crescono il senso di disaffezione e la voglia di disimpegno. La cultura civica e il senso dello Stato sono sempre meno diffusi non solo tra i comuni cittadini ma anche tra le elité di governo (quanto accade nel nostro Paese, che ha avuto e ha la ventura di annoverare nella sua classe dirigente Ministri della Repubblica che partecipano a manifestazioni al grido di “chi non salta italiano è”, propongono taglie sulle teste dei malviventi più o meno occasionali, sostengono la necessità di abbandonare l’Euro e reintrodurre la Lira, ne é purtroppo un esempio).
Lo stesso esercizio del diritto di voto, la possibilità di contribuire per questa via alla scelta di classi dirigenti e programmi, subisce, dato questo quadro, una perdita di credibilità, di interesse, di senso.

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